"IL MESE DEL TIBET"
Per dare la possibilità a tutte le persone interessate o solamente curiose di conoscere le tradizioni e la cultura di un popolo millenario, abbiamo organizzato una serie di incontri pubblici a partire dal 10 Febbraio 2014.
Gli eventi saranno di genere diverso e comprenderanno due mostre fotografiche, presso il palazzo della Regione Liguria, con scatti di Giampietro Mattolin, un viaggiatore e fotografo da più di trent'anni che ha attraversato e conosciuto luoghi remoti in tutti i continenti.
Si potrà assistere ad una conferenza pubblica presso il Palazzo della Regione Liguria a cura di Piero Verni, scrittore e giornalista tra i fondatori dell’Associazione Italia-Tibet di cui è stato il primo presidente. Profondo conoscitore delle civiltà orientali e delle culture indo-himalayane, da oltre vent'anni compie viaggi di studio e ricerca in India, Tibet e nella regione himalayana. Ha scritto una Biografia autorizzata di Sua Santità il Dalai Lama ed è l’autore del libro "Le terre del Buddha", pubblicato dal Touring Club.
Gli incontri pubblici con Ghesce Ngawang Sangye presso il palazzo della Regione Liguria e con Ghesce Lobsang Tenkyong presso il teatro della Tosse saranno un'occasione per conoscere due Lama tibetani che esporranno un'introduzione al Buddhismo tibetano e al Dharma.
Avremo anche la possibilità di vedere insieme delle proiezioni presso il centro di Dharma.
Gli eventi saranno di genere diverso e comprenderanno due mostre fotografiche, presso il palazzo della Regione Liguria, con scatti di Giampietro Mattolin, un viaggiatore e fotografo da più di trent'anni che ha attraversato e conosciuto luoghi remoti in tutti i continenti.
Si potrà assistere ad una conferenza pubblica presso il Palazzo della Regione Liguria a cura di Piero Verni, scrittore e giornalista tra i fondatori dell’Associazione Italia-Tibet di cui è stato il primo presidente. Profondo conoscitore delle civiltà orientali e delle culture indo-himalayane, da oltre vent'anni compie viaggi di studio e ricerca in India, Tibet e nella regione himalayana. Ha scritto una Biografia autorizzata di Sua Santità il Dalai Lama ed è l’autore del libro "Le terre del Buddha", pubblicato dal Touring Club.
Gli incontri pubblici con Ghesce Ngawang Sangye presso il palazzo della Regione Liguria e con Ghesce Lobsang Tenkyong presso il teatro della Tosse saranno un'occasione per conoscere due Lama tibetani che esporranno un'introduzione al Buddhismo tibetano e al Dharma.
Avremo anche la possibilità di vedere insieme delle proiezioni presso il centro di Dharma.
L’EREDITA' DEL TIBET
Il Tibet, questo sterminato altopiano grande quasi quanto l'Europa che separa e nel medesimo tempo collega le steppe mongole alle pianure indiane è, e soprattutto è stato, un immenso crocevia di razze, culture, religioni, etnie e civiltà. Forse nessun altro luogo dell'Asia ha tanto colpito la fantasia e l'inconscio del mondo occidentale, che ha voluto vedere nel Tibet il contenitore mistico di tutte le speranze, le fantasie, i sogni e i desideri che non riusciva (o non riusciva più) ad appagare. Il Tibet come Shangri-là dello spirito, luogo mitico dove i saggi potevano volare, la gente era felice e alcuni iniziati avevano forse scoperto il segreto dell'immortalità. Così veniva descritto il Tibet in alcuni popolari resoconti di viaggio dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Ovviamente le cose stavano diversamente. Il Tibet, come del resto le altre nazioni del nostro pianeta, non era un mitico paradiso terrestre, la gente non era tutta e sempre felice e nessuno aveva scoperto l'elisir di lunga vita. Quella tibetana era però una civiltà di grande valore. Poco sviluppata dal punto di vista del progresso materiale era invece incredibilmente progredita sotto il profilo della ricerca filosofica e interiore. La gente, a qualsiasi gruppo sociale appartenesse, mostrava una coesione culturale e una adesione nei confronti del proprio stile di vita che non aveva paragoni nelle limitrofe nazioni asiatiche.
L’invasione cinese degli anni ’50, soprattutto nel decennio allucinato ed iconoclasta della “Rivoluzione Culturale”, ha cercato di annientare quel mondo portandolo sino alla soglia dell’estinzione totale. Con i cambiamenti politici avvenuti in Cina a partire dagli anni ’80 dello scorso secolo le cose sono leggermente mutate e i tibetani stanno tentando di mantenere in vita almeno l’essenziale della loro civiltà sia pure in mezzo a difficoltà di ogni genere. Le cento persone che in due anni si sono immolate con il fuoco per protestare contro l’occupazione di Pechino, rivelano quanto ancora siano drammatiche le condizioni di vita per le genti del Tibet.
Ma l’universo tibetano, così duramente colpito sul Tetto del Mondo, continua a vivere anche nel vasto spazio di quello che generalmente viene definito “Tibet etnico” (Ladak, Sikkim, Mustang, Dolpo, Bhutan etc.). Vale a dire quell’universo himalayano abitato da popolazioni di origine tibetana che, pur non essendo mai stato governato direttamente da Lhasa, ha sempre espresso e continua ancora oggi ad esprimere una civiltà assolutamente consonante con quella tibetana per quanto riguarda religione, cultura, tradizioni e composizione sociale. E’ palese l’odierna importanza del “Tibet etnico” poiché consente di incontrare quella koiné culturale e religiosa che nel Paese delle Nevi non può più esprimersi come vorrebbe.
Infine vi è il Tibet dell’esilio, quella microsocietà ricostruita dagli oltre centomila profughi tibetani che si sono insediati in India, Nepal, Bhutan e che cercano in ogni modo possibile di preservare il cuore della propria cultura. Un Tibet dell’esilio che nonostante mille problemi e mille difficoltà sembra in grado di vincere la sua incredibile scommessa con la storia.
Oggi, in quello che il Dalai Lama ha spesso definito “il periodo più drammatico della sua intera storia”, il popolo tibetano ha bisogno della solidarietà internazionale e il modo migliore per suscitarla è far conoscere la sua antica e nobile civiltà. E spiegare come l’eredità del Tibet non appartiene solo alle donne e agli uomini del Tibet ma all’intera umanità. Quindi a tutti noi.
Piero Verni
Il Tibet, questo sterminato altopiano grande quasi quanto l'Europa che separa e nel medesimo tempo collega le steppe mongole alle pianure indiane è, e soprattutto è stato, un immenso crocevia di razze, culture, religioni, etnie e civiltà. Forse nessun altro luogo dell'Asia ha tanto colpito la fantasia e l'inconscio del mondo occidentale, che ha voluto vedere nel Tibet il contenitore mistico di tutte le speranze, le fantasie, i sogni e i desideri che non riusciva (o non riusciva più) ad appagare. Il Tibet come Shangri-là dello spirito, luogo mitico dove i saggi potevano volare, la gente era felice e alcuni iniziati avevano forse scoperto il segreto dell'immortalità. Così veniva descritto il Tibet in alcuni popolari resoconti di viaggio dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Ovviamente le cose stavano diversamente. Il Tibet, come del resto le altre nazioni del nostro pianeta, non era un mitico paradiso terrestre, la gente non era tutta e sempre felice e nessuno aveva scoperto l'elisir di lunga vita. Quella tibetana era però una civiltà di grande valore. Poco sviluppata dal punto di vista del progresso materiale era invece incredibilmente progredita sotto il profilo della ricerca filosofica e interiore. La gente, a qualsiasi gruppo sociale appartenesse, mostrava una coesione culturale e una adesione nei confronti del proprio stile di vita che non aveva paragoni nelle limitrofe nazioni asiatiche.
L’invasione cinese degli anni ’50, soprattutto nel decennio allucinato ed iconoclasta della “Rivoluzione Culturale”, ha cercato di annientare quel mondo portandolo sino alla soglia dell’estinzione totale. Con i cambiamenti politici avvenuti in Cina a partire dagli anni ’80 dello scorso secolo le cose sono leggermente mutate e i tibetani stanno tentando di mantenere in vita almeno l’essenziale della loro civiltà sia pure in mezzo a difficoltà di ogni genere. Le cento persone che in due anni si sono immolate con il fuoco per protestare contro l’occupazione di Pechino, rivelano quanto ancora siano drammatiche le condizioni di vita per le genti del Tibet.
Ma l’universo tibetano, così duramente colpito sul Tetto del Mondo, continua a vivere anche nel vasto spazio di quello che generalmente viene definito “Tibet etnico” (Ladak, Sikkim, Mustang, Dolpo, Bhutan etc.). Vale a dire quell’universo himalayano abitato da popolazioni di origine tibetana che, pur non essendo mai stato governato direttamente da Lhasa, ha sempre espresso e continua ancora oggi ad esprimere una civiltà assolutamente consonante con quella tibetana per quanto riguarda religione, cultura, tradizioni e composizione sociale. E’ palese l’odierna importanza del “Tibet etnico” poiché consente di incontrare quella koiné culturale e religiosa che nel Paese delle Nevi non può più esprimersi come vorrebbe.
Infine vi è il Tibet dell’esilio, quella microsocietà ricostruita dagli oltre centomila profughi tibetani che si sono insediati in India, Nepal, Bhutan e che cercano in ogni modo possibile di preservare il cuore della propria cultura. Un Tibet dell’esilio che nonostante mille problemi e mille difficoltà sembra in grado di vincere la sua incredibile scommessa con la storia.
Oggi, in quello che il Dalai Lama ha spesso definito “il periodo più drammatico della sua intera storia”, il popolo tibetano ha bisogno della solidarietà internazionale e il modo migliore per suscitarla è far conoscere la sua antica e nobile civiltà. E spiegare come l’eredità del Tibet non appartiene solo alle donne e agli uomini del Tibet ma all’intera umanità. Quindi a tutti noi.
Piero Verni